Evitare scappatoie in attesa di tempi migliori

In queste settimane il nostro giornale sta dedicando molto spazio alla pandemia. Lo facciamo sia per dovere di cronaca, sia per offrire testimonianze di speranza e di fiducia sia, infine, per sensibilizzare tutti alla responsabilità e al rispetto sostanziale e non solo formale delle regole che le istituzioni civili ci danno per contenere il contagio.

foto SIR/Marco Calvarese

In queste settimane il nostro giornale sta dedicando molto spazio alla pandemia. Lo facciamo sia per dovere di cronaca, sia per offrire testimonianze di speranza e di fiducia sia, infine, per sensibilizzare tutti alla responsabilità e al rispetto sostanziale e non solo formale delle regole che le istituzioni civili ci danno per contenere il contagio.

Salvo improbabili cambiamenti all’ultimo momento, rimane valido e, quindi, da osservare, l’ultimo Dpcm che prevede il divieto per tutti di spostarsi fuori dal comune di residenza o di domicilio nei giorni del 25-26 dicembre e del 1° gennaio, in modo da evitare “assembramenti”, anche tra familiari, che possono favorire l’aumento della diffusione del contagio (al momento si parla di 6, massimo 8 persone a tavola, tra conviventi e parenti stretti). La situazione è critica e gli esperti e coloro che lavorano negli ospedali sono molto preoccupati per come stanno evolvendo le cose. C’è veramente il rischio che, a causa delle festività natalizie, si verifichi a gennaio una terza e ancora più grave ondata di diffusione del virus, aggravata dal fatto che nei primi mesi dell’anno dovrebbe esserci anche l’impennata della normale influenza stagionale. Il ritornello che ci sentiamo ripetere è sempre lo stesso: bisogna rimanere a casa, spostarsi solo per cose essenziali e non preoccuparsi del pranzo di Natale e del brindisi di fine anno.

Evitare scappatoie. Purtroppo, vuoi per il susseguirsi di una serie di normative a volte poco chiare, vuoi per le divergenze tra Stato e Regioni vuoi, infine, per la comune convinzione che sia sufficiente avere un po’ di attenzione per non rimanere infettati o infettare, alla fine ci sono anche quelli che stanno cercando di destreggiarsi tra le normative per poter trovare la “scappatoia formale” che consenta loro di ricongiungersi con i familiari per questo benedetto pranzo di Natale o di Capodanno. Dimenticando che in queste settimane, a motivo della “zona gialla”, abbiamo già avuto la fortuna di poterci recare a far visita a parenti senza particolari restrizioni. Sappiamo bene che l’ambiente familiare, a motivo degli inevitabili rapporti esterni e di lavoro dei suoi componenti, è una delle principali fonti di trasmissione del contagio. Il mangiare insieme accentua ulteriormente questo rischio, perché manca il filtro della mascherina e vengono naturalmente meno quelle attenzioni che normalmente si cerca di avere in altri ambienti. A tavola saltano, di solito, molte precauzioni. Certamente, il fatto che il Veneto abbia ottenuto di restare “zona gialla”, con relativa possibilità di spostarsi tra comuni, non ci ha aiutato molto ad avere piena coscienza della gravità della situazione e, di conseguenza, a moderare i nostri comportamenti e contenere comunque gli spostamenti. Prova ne sia che il presidente della Regione, Luca Zaia, oltre a stigmatizzare gli assembramenti che continuano a susseguirsi, si dice ora molto preoccupato e convinto che di questo passo entreremo quanto prima in “zona arancione”.

Un dovere di noi cristiani. Ritengo che per noi cristiani ci sia un motivo in più per essere rigorosi nell’osservare quanto stabilito dalle norme sanitarie e per evitare di cercare negli anfratti di esse possibili deroghe o scappatoie. E il dovere della carità o dell’amore verso il prossimo, che si traduce in questa particolare situazione pandemica, nell’adoperarsi per il bene comune e per l’incolumità degli altri, evitando di mettersi nelle potenziali occasioni di essere contagiati o, per faciloneria, causa di contagio per altri. Forse abbiamo già rimosso il lockdown di primavera, allorquando ci è stato impedito di accedere alle chiese per la messa e di celebrare la Pasqua. Potervi ora partecipare, seppur rispettando certe regole, è davvero una grazia e dobbiamo essere riconoscenti al Signore e al senso di responsabilità di tutti se le chiese, almeno per ora, non siano ritenute luoghi di contagio. Premere per avere altri “benefici” o concessioni, fosse anche quello di pranzi o cene tra parenti e tra familiari, mi sembra un po’ troppo. Per stare in tema, mi viene da dire che è proprio vero che l’appetito vien mangiando. E inoltre, se abbiamo ancora la fortuna di essere in “zona gialla” e godere, quindi, di una certa possibilità di movimento, rimane pur sempre per noi il dovere di solidarietà e di condivisione con coloro che non possono permettersi certe cose perché sono soggetti a restrizioni più stringenti o sono malati.

A tempi migliori. Il non ritrovarsi tutti insieme tra parenti per festeggiare il Natale o il Capodanno, non è una tragedia. Molti che sono in quarantena o in terapia intensiva negli ospedali ne stanno vivendo, purtroppo, una di peggiore. Ringraziamo la Provvidenza se per il momento stiamo bene e accontentiamoci di poter partecipare alla messa a Natale. Il pranzo può attendere. I nostri anziani, pur desiderosi di vederci, saranno di sicuro i primi a dire che è bene rinviare feste a tempi migliori. La salute vale pure un pranzo di meno.

(*) direttore “La Vita del Popolo” (Treviso)

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